sabato 7 dicembre 2013

500 pagine di Bibbia

Non sono un'accumulatrice di libri. Mi basta leggerli. Alcuni libri però sono pozzi inesauribili di meraviglie e ispirazioni e devo averli.

Scrittori. Grandi autori visti da grandi fotografi è uno di questi: 250 ritratti fotografici di scrittori del Novecento, selezionati da Goffredo Fofi e appena pubblicati da Contrasto.

Guardate che bello.

Ezra Pound
Bret Easton Ellis
Simone de Beauvoir



Yasunari Kawabata, Jack Kerouac, Stephen King, Agota Kristof, Milan Kundera

Julio Cortazar

John Steinbeck

Vladimir Mayakovsky

Giovanni Verga

Sylvia Plath

Marguerite Yourcenar

Marcel Proust

Albert Camus

Cesare Pavese

Vladimir Nabokov

Jerome David Salinger


domenica 1 dicembre 2013

Ho sognato che il capo era pazzo

Ho tenuto John Steinbeck chiuso per anni.
L'ho preso al volo una mattina, perché era veloce da leggere in treno e La luna è tramontata stava giusto in una tasca.
Quando riesci a trovare qualcuno che scrive così – e non è facile – sei felice, e sai che durerà fino all'ultima pagina. È poesia venuta lunga come un romanzo, così chiara che ci si vede dentro.

Le proporzioni della storia sono minime: un piccolo, pacifico paese viene occupato dai nazisti. Ma sono nazisti come acquerelli, capitanati da uno che - per esempio - crede che la guerra sia una nebbia che si distende sul cervello e la conquista del mondo e le medaglie ciondoloni sul petto non servano a niente, se poi non puoi voltare le spalle a un uomo senza preoccuparti. Chiaro: gli ordini sono ordini, però, forse, il nuovo grande sistema non è stato inventato da un genio così grande, forse si può amare la guerra solo senza farla, forse non si è per niente più coraggiosi o intelligenti di nessuno e, per quanto dettagliato un piano militare possa essere, non spiegherà mai come si combattono disfattismo e umore nero. Per ogni nemico fucilato ci saranno sempre venti nuovi nemici che non rinunceranno a resistere. Gli uomini liberi non possono scatenare una guerra ma una volta che questa sia cominciata possono continuare a combattere nella sconfitta. Gli uomini – gregge, seguaci di un capo, non possono farlo, ed ecco perché sono sempre gli uomini – gregge che vincono le battaglie e gli uomini liberi che vincono le guerre.  

Steinbeck nasconde perle del genere nelle trincee scavate nella neve, scrive sulle bombe che cadono dalla luna, vi fa regali a ogni riga. Cos’è la guerra? Non poter vivere tranquilli. E un soldato? Un uomo che può fare la guerra per molte ore al giorno e soltanto per molti mesi all’anno, e poi vuole tornare a essere uomo.
Il romanzo è del 1942, e non è fra i più famosi o amati di Steinbeck. Però è quello con cui mi sono innamorata io. Se non riuscite a trovarlo - ed è probabile perché è fuori catalogo - potete leggerlo qui.

domenica 24 novembre 2013

Chicago

In assoluto, Hemingway è uno dei miei scrittori preferiti. Qualche giorno fa ho letto Ernest Hemingway. Una vita da romanzo, diagnosi psicoterapeutica e la meno eroica delle biografie. Linda Wagner-Martin analizza sentimenti e stati d'animo di un bambino insicuro di tutto che impara a non avere paura di niente.

Siccome non sa se scrivere o dipingere - e la cosa che gli riesce meglio è adattarsi alle circostanze - Hemingway inizia a scrivere seguendo i princìpi di Cézanne, anche se è un disilluso come Van Gogh. Lavora sodo, perché non ha soldi e deve sbrigarsi, diventare il migliore e sopravvivere. S'innamora di donne più vecchie perché sua madre non lo ha mai amato e deve rifarsi in qualche modo. Si sposa ma non è sicuro di volerlo, fa un figlio che non vuole così presto. Legge, instancabilmente, impara più veloce di tutti, scrive come uno che scarnifichi ossa e le disponga su un foglio. Si appassiona alle corride e ne scrive per così tanto tempo che alla fine, quando l'entusiasmo svanisce, gli sembra tutto uno schifo.
Divorzia, sposa una milionaria e poi la molla per una giornalista brava a scrivere quanto lui, e che non sopporta.
Da quando è tornato dalla guerra dorme con la luce accesa, per vedere la morte, se torna. Scrive Addio alle armi, che è la storia di un disertore che odia tutte le guerre e fa una pace per conto suo. Fitzgerald gli dice che è un libro bellissimo, lui gli risponde baciami il culo.
Scrive onestamente e senza barare ma anche se è il più bravo di tutti non sempre gli riesce. Scrivere è una faccenda maledettamente seria e tanto difficile: richiede talento, disciplina e una coscienza assoluta che impedisca di mentire. Scrive per vendicarsi, o per autoanalisi, e perché è la cosa più importante.
Quando non ci riesce va a pesca; o in Africa. Beve, sempre, sfinito dalla concentrazione.
Nel Vecchio e il mare mette decenni di allenamento ma festeggia il Nobel in una clinica psichiatrica. Gli elettroshock gli danneggiano il cervello, che è il suo capitale, e quando capisce che non riuscirà mai più a scrivere, si spara in testa come ha fatto suo padre trent'anni prima. L'oro schizza sul soffitto, all'infinito.

domenica 17 novembre 2013

L'importante è finire

Questo diario è un rischio e una disciplina.

Di solito mi scrivo dentro, in testa, perdendo quasi tutto. O appunto in fretta corsivi minuscoli, su pagine sparse che diventano mucchi, scoloriscono e si perdono.
A rileggerle direbbero: ricordati questo momento.

Da un po' di tempo questo blog è in cima alla lista delle cose che vorrei fare, domani. Nonostante la timidezza mi scoraggi, sarebbe bello farlo e basta, passarci del tempo, condividerlo. Scriverlo nel modo più sincero che so. Tenere insieme le cose che amo: i libri (i libri soprattutto), i viaggi, le scoperte, lo stupore, l'irrequietezza. Non perdere l'occasione. Finirla con gli inizi che non iniziano, finirla proprio adesso.