martedì 11 febbraio 2014

La Trezza mala

Acitrezza era ed è ancora un villaggio di pescatori sulla costa orientale della Sicilia, a pochi chilometri a nord di Catania.
Il mare gli fa davanti una frangia di spume e i faraglioni che vengono su dalle onde sono gli ostacoli monolitici che Polifemo mise lì per Ulisse. La spiaggia è nera di lava etnea e i Siciliani la chiamano la terra che trema.
Ci si passerebbe un mese, ma non ci si regge più di quarantott'ore.

Dicono che la casa accanto alla chiesa sia la Casa del Nespolo dei Malavoglia, quella da cui si sente russare il mare in fondo alla strada, come un vagabondo addormentato che si rivolta nel letto.
Da lì Giovanni Verga scriveva la storia della fine di un mondo, di sirene e di figli che si rifiutano di morire come i padri, al lavoro, di domenica.
I Malavoglia è lo studio sincero di come nascono e si sviluppano nelle più umili condizioni le prime irrequietudini per il benessere, e della perturbazione arrecata dalla bramosia dell'ignoto, dall'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe stare meglio.

La Casa del Nespolo fu una delle prime a Trezza ma dopo la morte di Bastianazzo, 'Ntoni soldato e Mena da maritare si dovette lasciarla e fu come espatriare.






Verga diceva che s'impara a scrivere solo ascoltando, e lui ascoltava chi non sapeva scrivere.
Gli veniva fuori una lingua inedita, che sbaglia la grammatica e imbroglia la sintassi, un mosaico di proverbi e pettegolezzi, la nenia amara di una famiglia.



Oggi nella Casa del Nespolo c'è un museo piccolissimo, con due stanze soltanto: c'è la sala della Terra trema, con le fotografie e le locandine del film omonimo di Luchino Visconti, girato ad Acitrezza nel 1947, con gli attori scelti fra gli abitanti del borgo; e c'è la Stanza dei Malavoglia, con le foto scattate al paese da Verga e le lettere scritte al fratello; gli antichi strumenti di lavoro dei pescatori trezzoti della metà dell'Ottocento, paglia sparsa per ogni dove, cocci di stoviglie, nasse sfasciate e in un canto il nespolo, e la vita in pampini sull'uscio.

1 commento :

Francesco Cazzin ha detto...

Credo che la fine di un mondo sia sempre la fine del mondo, e questo Fellini lo sapeva bene (v. "I clown"), così Verga, che in fondo non fa altro che sfornare un romanzo distopico come pochi, dove la fine è la fine, ma nessuno se ne rende conto, tentano tutti di sopravvivere e ognuno ne esce sconfitto.